Alessandro Robaldo

Se fai il meccanico, la vita la monti e la smonti, come fosse un motore.
Prendi un pezzo, lo ripari, ce ne metti un altro, un altro lo adatti.
Se poi il cuore perde colpi e non batte più come un orologio, allora diventa un problema. Perché, come un motore, anche tu svalvoli  e tutto rischia di saltare.

Un uomo è una macchina perfetta, si può aggiustare, ma non gli si possono cambiare pezzi che lo rendano uguale a prima. Lo si può rattoppare, ma la corsa alla vita non sarà mai più identica. Diventi di una categoria a parte. E per te non sempre esistono meccanici alla tua altezza, in grado di mettere anima e tecnica al tuo servizio. Tu per passione, voglia, bisogno, riuscivi a entrare in sintonia con un pezzo di metallo, una parte apparentemente inanimata, un oggetto e gli restituivi funzioni e vita. Non altrettanto ci riescono con te, eppure sei cosa viva,  partecipe, pulsante, animata.

Come è difficile se ti ammali, se qualche tuo pezzo va in frantumi, restituirti alla piena funzionalità, rimediare i danni nel tuo petto, riparare i guasti del cuore o del sangue.

Alessandro Robaldo nasce nel 1968. Potrebbe essere un segno di rivoluzione: gli studenti e la rivolta nelle scuole, il rinnovamento dei costumi sociali, la libertà dei rapporti. Ma quella dei Robaldo è una famiglia quadrata e, appena finite le scuole indispensabili, il giovane Alessandro entra a lavorare nell’officina meccanica di casa, dove affianca il padre e lo zio. La gioventù ideale per un ragazzo che ama i meccanismi, gli piacciono le auto, ma ha i piedi saldamente piantati per terra. Le persone pratiche i sogni li hanno adeguati alle loro possibilità.

Il lavoro, e un lavoro come quello, sono i suoi obbiettivi principali.

Ti fa sentire inserito, hai un tuo ruolo sociale, guadagni e non sei di peso a nessuno. Aggiustare i motori, farli tornare a vibrare, restituirli a nuova vita, ti mette lo champagne nelle vene, è una gioia che non si può spiegare. E poi quando l’auto riparte, quando smette di gemere e torna ad avere il suono rotondo di prima è una soddisfazione senza prezzo.

Aggiustare le cose dà un senso inebriante di potere e soddisfazione. Un senso divino di compiutezza.

Non è da tutti capire le vibrazioni di un motore, la tecnica che l’ha realizzato, la forza e gli equilibri che lo regolano. Così come intuire perché una macchina non funziona, soffre e si lamenta come una cosa viva e poi riuscire a risolvere le emergenze tecniche e meccaniche di congegni, apparentemente senza vita. Là dove gli altri si fermano, tocca a te dimostrare il tuo estro, le tue capacità. In silenzio affrontare il problema che ha  ammutolito il resto dell’officina e risolverlo. Non è la gloria fra i colleghi, il plauso del titolare, il guadagno che arriva. No, è quel rumore di nuovo regolare, il battito di un’ala immaginaria che crea armonia con il magico mondo della meccanica. Non contano le ore, la fatica, l’impegno. L’unica cosa che vale è quel rumore regolare che sembra il respiro sereno di una persona che ami. Il fiato regolare e ritmico della vita.

E uno sogna che quella sia la propria strada e che il sentiero sia già tracciato. E già. Però certi sogni diventano incubi e quando si ci risveglia non scompaiono. Anzi.

La morte del padre, la scelta dello zio di non tenere l’officina, l’impossibilità di rilevarla direttamente e Alessandro Robaldo deve rivedere i propri progetti. Come direbbe uno del suo campo, inversione di marcia a U e riposizionamento.

Nel 1992, perciò, entra a lavorare come autista per la ditta Aimeri di Mondovì. Sempre automezzi e motori, ma dall’altra parte della barricata.

La ditta è solida, gestisce in modo industriale e diffuso la raccolta dei rifiuti, vincendo numerosi appalti anche fuori zona. E così dopo un inizio da “stagionale” in provincia di Savona, Alessandro Robaldo conquista un posto fisso, il futuro non sarà come sognava, però il lavoro è un punto fermo e tutto sembra rientrare nella logica degli ingranaggi che regola la vita, tanto che nel 1996, si sposa con Mara, un donna intelligente, solida e lavoratrice, a cui piace scrivere raccontando cose.

Il meccanismo della vita continua nei suoi incastri e se nel lavoro cambiano gli appalti e gli interlocutori, non si alterano, però, gli automatismi: dalla Aimeri si passa alla Ponticelli fino ad arrivare al 2000 ed è a quel punto che Mara e Alessandro, tentano la fortuna.

Nessun azzardo, che non sono cose per questa tipo di coppia, loro due stabili e compatti che l’estro lo riservano ai sogni: una casa in campagna, le ferie a contatto con la natura. Il loro azzardo è solo la voglia di pensare il meglio e più in grande per la famiglia che cresce, per preparare un futuro migliore a Domiziana ed Emanuele che, nel frattempo, hanno reso più grande e allegra la famiglia.

La scelta, che di questi tempi diventa un rischio, è l’acquisto di una latteria. Un’opportunità di lavoro per Mara, e nel tempo libero, per Alessandro, che può dare qualche cambio, quando smonta.

Un meccanico sa aggiustare le cose, ma ha qualche problema a far tornare i conti. Soprattutto se i conti alla lunga, non sono giusti e il postulato era sbagliato. Le stime iniziali, fissate al momento del contratto, non risultano quelle reali a fine mese. Valutazioni  errate? Un bidone? Una grande ingenuità? Può essere di tutto, ma le spese annunciate non sono quelle che invece incalzano alla scadenza. E i mesi sembrano sempre troppo veloci da una parte: luce, gas, acqua, forniture, affitti e, inesorabilmente lenti, dall’altra parte: i cento caffè preventivati al giorno non sono nemmeno la metà, poche le colazioni, i costi alle stelle. Alla fine lo squilibrio è imbarazzante e il disavanzo insostenibile. Uno squarcio. Beh, dici, basterebbe vendere, ma intanto Alessandro ha perso il lavoro e, della latteria, bisogna disfarsene e in fretta. Quella famiglia che volevi aiutare a tutti i costi, rischi di inguaiarla. Pensavi al meglio, credevi di essere in crescita e invece sei finito sull’orlo del baratro. Orlo? Dentro fino al collo. E adesso serve un lavoro a tutti i costi per mangiare, pagare l’affitto, vestire i bambini, onorare le bollette.  Il saldo dell’avventura è un buco profondo nei soldi e devastante nell’orgoglio. Costa l’alloggio di famiglia venduto per saldare i debiti e Alessandro si ritrova che tutti tornano a guardare lui per avere una risorsa, ma lui è senza lavoro, con una depressione che lo devasta e l’aggiunta di una falla al suo ingranaggio: inaspettato e improvviso, subdolamente e imprevisto è insorto il diabete.

Questo non era nel conto, è una parte che si rompe, che non hai ricambi con cui sostituirla.

Il tuo motore fisico ed emotivo ha tutti i componenti smontati sul bancone, sembra un corpo senza vita e non si sa più da che parte ricominciare.

Però la famiglia fa quadrato, e Alessandro fa il meccanico, aggiusta le cose e le fa funzionare. Riparte, con fatica, molta fatica, si riprende e rincomincia.

La famiglia è il nodo centrale e, attorno a tutto questo, ruota.

Mara è l’asse portante, il sostegno. Fa da timone e riferimento.

Mentre Alessandro rievoca quei giorni, lei sottolinea i concetti, gli sta vicino, lo appoggia, spiega, completa.

Interviene, non per correggere, ma per evitare  fraintendimenti, per ribadire una situazione, per stemperare un dolore.

Sono una coppia che vanta più di vent’anni di matrimonio. Alessandro, fisicamente, sembra una montagna, una montagna buona, parla fluente, senza intoppi, spiega con termini adeguati e senza rammarico, senza rancore, anche quando deve citare episodi negativi, offese, torti subiti.

Mara gli  sta di fianco e sovente gli tiene la mano, nei passaggi brutti quelli che ricordano il male, quelli dolorosi, quando deve elencare gli insuccessi e le fatiche devastanti e non andate a buon termine.

La famiglia, i figli che compaiono nel racconto e ogni tanto sbirciano da una porta, sono presenti, perché la famiglia è salda, punto di riferimento e fine ultimo di tutti gli impegni, le fatiche.

Attorno, nella stanza densa di oggetti, di testimonianze raccolte nel tempo, quando c’erano altre possibilità, la serenità a dispetto degli eventi, è testimoniata dai riti e dalle presenze del quotidiano.

Sui fornelli pentole e contenitori per preparare le marmellate, una rigida schiera di barattoli di vetro che attendono solo di essere riempiti. Sul divano e le seggiole libere, la partecipazione discreta e indagatrice di tre gatti che vigilano sugli intrusi. Pattugliano gli spazi, fingono disattenzione e intanto controllano che nulla turbi la quiete, si fingono ipnotizzati dalla voce dei racconti, mentre custodiscono i lari sereni della casa.

Solo il movimento nervoso di una coda lancia un impercettibile segnale di allarme. Voi non mi vedete, ma ci sono.

E così Mara sorride, mani nelle mani, mentre Alessandro riprende il racconto e spiega come, anche dopo questa grippata, lui abbia rincominciato a smontare e rimontare i pezzi. Trova un posto alla Sitie che cura la manutenzione all’Infineum, una fabbrica leader per la produzioni e il commercio di lubrificanti di  Vado Ligure. Un posto che non rende moltissimo, ma consente una vita dignitosa, però il contratto scade e Alessandro passa all’ABM costruzioni, come autista. Meccanico, auto, passione, ma soprattutto lavoro.

Alessandro Robaldo ne approfitta, si impegna e consegue la patente C e, nel 2006 anche la E.

È la sua risposta agli insulti della vita. Lavora, studia, si obbliga anche dopo l’orario. Perché più ti specializzi più hai possibilità di portare a casa quello che serve a tutta la famiglia.

La patente E, ricorda con orgoglio, non l’hanno in tanti, è molto richiesta e questo può significare un’occupazione solida, che soprattutto gli consenta di lavorare senza problemi, tenuto conto che la salute sta mandando segnali preoccupanti: il diabete aumenta e anche il cuore, comincia a perdere colpi.

Un meccanico dovrebbe seguire con più attenzione i giri del proprio motore, ma lui, prima di tutto, è un padre di famiglia.

A casa sono in quattro, i ragazzi crescono, la scuola costa, Mara lavora a singhiozzo e così lui continua a macinare chilometri e non sembra aver voglia, né possibilità, di rallentare. Soprattutto non può.

In effetti il lavoro lo assorbe, adesso opera per una ditta di Albenga, trasporta verdura e frutta. La piana di Albenga è ricca di colture, in quel periodo il mercato e redditizio, i traffici sono intensi. E così i camion frigo che guida Alessandro, percorrono le strade con intensità e nel contachilometri fisico e mentale di Alessandro, dal 2008 al 2014, le cifre sono da capogiro.

Se anche le macchine si rompono, figuriamoci un corpo usurato, che non sta bene, che è sotto il tiro incrociato di due nemici in agguato: il cuore malandato e il diabete.

Intanto la sua ditta cambia proprietà, inverte il giro di influenza, cerca mercati lontano dalla Liguria. Per mantenere il posto Alessandro dovrebbe andare a vivere da un’altra parte e, soprattutto, avere un altro fisico. Così, sempre più malato, è costretto alla rinuncia e perde il lavoro.

Serve una revisione e nel 2014 ad Alessandro vengono impiantati 2 by pass. Le condizioni fisiche non sono più ottimali, e certi carichi di lavoro non sono sopportabili per uno che ottiene anche il riconoscimento di invalidità, non altissima, il 75 per cento, ma almeno è l’accertamento di uno stato di sofferenza.

Le macchine che non funzionano si mettono da parte, puoi sostituire un pezzo, vedere se, cambiando qualche ingranaggio, possono ripartire

Si fa presto a dire. Le macchine sono macchine, ma un uomo ha un cuore, anche se malato, e una testa. Soprattutto un’anima e se hai due figli che vanno a scuola e sono anche bravi devi dargli le opportunità che tu non hai avuto. Senza lavoro, malato, distrutto nell’orgoglio e senza speranze, Alessandro Robaldo si sente da rottamare, ma non rinuncia.

Così, con il cuore a pezzi, un’indennità di disoccupazione che non basta, sofferente, Alessandro Robaldo inizia a fare il giro degli amici, a chiedere un lavoretto, a far valere quanto di buono sa fare con le mani.

“Una volta,- racconta – per montare e smontare il cambio dell’auto, me lo appoggiavo ad una gamba e lo manovravo. Adesso sono così malridotto che i lavori di forza bruta senza aiuto non posso farli. Però, tutto il resto, mi riesce e senza problemi. E ancora mi cercano”. Nella voce il rammarico di un gigante che aveva nella propria forza fisica uno spunto in più e che adesso, azzoppato dalla salute cagionevole, si sente umiliato. Rabbia e desolazione.

Sì perché autista, manutentore, meccanico, Alessandro il proprio lavoro lo sa fare. Così qualcuno ancora lo chiama, quando c’è un’auto difficile da sistemare, quando magari i modelli non sono recenti e i giovani dell’officina girano con la chiave inglese in mano e non sanno da che parte cominciare.

Alessandro, nuove o vecchie, auto o moto, anche le più sofisticate,  il mestiere lo conosce e con lui tutto si aggiusta.

Però non sempre è facile, lavorare in nero, non si può. Gli amici, o quelli che lui riteneva tali, gli hanno girato le spalle, anche quelli che lui, quando poteva, ha aiutato.

La vita ha un sacco di lezioni da impartire, peccato che non siano mai edificanti o quelle che ti aspettavi.

Nei giorni in cui racconta la sua storia in discesa, Alessandro ha un posto regolare, un part time, che non può essere prolungato.

È arrivato alla fine della scadenza consentita. Perciò sa già che è un lavoro a termine, perché se lo rinnovassero dovrebbero assumerlo a tempo indeterminato. Vero che lui, adesso, sta facendo un sacco d’ore, ma un conto sono quelle chine su un motore che fingono di essere a forfait e un conto quelle che diventano ufficiali e rientrano nel pedaggio oneroso dei contributi e delle retribuzioni.

Ma se ha bisogno, e se serve, un meccanico fa anche dell’altro.

“Certo – racconta Mara – all’ufficio di collocamento ci hanno segnalato un lavoro per l’estate. Era quello di raccogliere pomodori nei campi. Ma si può uno con il 75 per cento di invalidità, due by pass e il diabete, mandarlo a raccogliere pomodori sotto il sole?”.

Già si può? Alessandro sarebbe anche andato. Il lavoro è lavoro e i ragazzi hanno scuole impegnative e i soldi non bastano mai.

Ma Mara si oppone. No, nei campi a raccogliere pomodori con lo stato di salute che hai, non se ne parla.

Allora partono nuove rinunce ancora più radicali, altri dolorosi sacrifici.

Il poco che guadagnano Alessandro e Mara lo destinano all’affitto, alla scuola dei figli. Lei fa qualche ora, quando trova, in giro a fare pulizie, per mangiare c’è l’emporio della Caritas, ma poi ci sono le utenze, i canoni, quello stillicidio quotidiano di spese che fa la differenza fra la vita e la sussistenza.

Per quale motivo vorrebbe lavorare Alessandro? Pe riavere la mia dignità, per dare qualcosa ai ragazzi che invece devono aggiustarsi, come possono, per vivere la loro gioventù che, in queste condizioni, gioventù non è.

Per poter cambiare casa, magari andare a vivere in campagna, aprire una ristorazione in mezzo ai boschi. Non dover fare più i sacrifici che stiamo facendo adesso.  Mara sorride e acconsente.

È lei che guida il filo sottile dei sogni, che sono speranze e non ancora illusioni. Un figlio che fa l’alberghiero avrebbe già una sua ragione. La famiglia sempre unita. Perché, cuore che ansima o sangue guastato, quello che conta restano i sentimenti.

Un meccanico nei boschi, potrebbe sembrare un paradosso.

Non è forse la natura il più importante motore del creato?

Ma Mara sorride senza lasciarsi sopraffare dai sogni: “Io, l’unica cosa che voglio è averlo qui a casa. Averlo qui con me.”

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